Due eventi estremi ravvicinati: tra il 15 e il 17 e il 20 e il 21 maggio. Una regione martoriata: il Veneto. Una vittima sacrificale: l’agricoltura.

L’esempio drammatico è la Bassa Padovana:  7.000 ettari di campi rimasti sott’acqua più di una settimana a causa dell’impossibilità del Fratta Gorzone, sovraccarico, di ricevere l’acqua della rete idraulica minore.  Una situazione estrema, con le idrovore del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo costrette a lavorare a singhiozzo: ferme addirittura 3 giorni (dalle 11.30 di mercoledì 15 alle 18 di sabato 18), poi al 50% della potenza. Risultato: una vasta area della  pianura Veneta è tornato allo stato primordiale, quando non vi erano né argini né sollevamento meccanico delle acque, una palude di acqua stagnante e malsana a perdita d’occhio.

Nei comuni allagati –  Vighizzolo D’este, Piacenza D’Adige, Megliadino San Vitale, Masi, Montagnana, Merlara, Casale di Scodosia – i raccolti sono persi, gli allevamenti in ginocchio: un danno enorme per l’agricoltura di un’area che già in più occasioni ha pagato la fragilità di un sistema idraulico alle prese con il cambiamento climatico. Ma è tutta la regione a rischio, sono oltre 10 le rotture arginali che si sono verificate un po’ ovunque, in una settimana di maltempo.

Nel Fratta Gorzone confluiscono le acque di numerosi torrenti che scendono dalle Prealpi Vicentine, una delle aree più piovose del Veneto; a queste, in particolari momenti, si somma l’acqua dei bacini anti allagamento dell’Alto Vicentino che devono essere velocemente svuotati per preservare la sicurezza dei centri abitati in previsione di nuove precipitazioni. Il quadro è complicato ulteriormente dalla fragilità di argini sottoposti alla forte pressione dell’acqua in un contesto generale di cambiamento climatico con eventi estremi sempre più violenti.

La rete idraulica minore, che proprio sul Fratta Gorzone scarica le acque meteoriche, viene così sacrificata: si fermano le idrovore e si fa passare la piena. Intanto per le campagne si allagano, diventando, di fatto, il più grande bacino di espansione del Veneto, con buona pace di raccolti e allevamenti.

“È un intero sistema di campi e coltivazioni che viene trasformato in una enorme “cassa di espansione” che protegge sì dai disastri i centri abitati, ma a carissimo prezzo per l’economia agricola – spiega il direttore di ANBI Veneto Andrea Crestani -. Abbiamo situazioni in cui lo spegnimento delle idrovore è diventato ormai un classico. E attenzione: allagare a novembre o a febbraio non è come allagare a maggio, quando le semine ormai sono già state tutte fatte. Senza contare che magari poi ci troveremo a far soffrire quelle stesse colture anche per la siccità, perché non siamo stati capaci di trattenere abbastanza acqua di tutta l’enorme massa che è piovuta dal cielo”.

“La fragilità degli argini rappresenta uno dei principali punti critici nella difesa idraulica della regione – continua Crestani – ; il rischio crolli infatti costringe a rallentare e talvolta a fermare l’azione delle idrovore cui spetta il compito di scaricare la rete minore di canali che innerva la pianura veneta.”

Quando l’agricoltura diventa la vittima sacrificale, migliaia di ettari di territorio rischiano l’abbandono.

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