Storia (2 di 4)
E’ in questi tempi che sorgono i Consorzi, originariamente libere associazioni di proprietari per l’esecuzione e la manutenzione in comune di opere di bonifica, che poi i Comuni agevolarono, regolando le derivazioni d’acqua dai fiumi e le servitù di acquedotto ed irrigue; rendendo i Consorzi, sotto determinate condizioni e limiti, obbligatori; codificando infine il principio della partecipazione alle spese in ragione dell’interesse alle opere.
L’economia raggiunse nel ‘400 un relativo apice di ricchezza, in virtù soprattutto dei commerci mondiali, con una popolazione di 11-12 milioni di abitanti; poi – per molte cause, fra le quali fondamentale lo spostarsi del centro della vita economica mondiale dal Mediterraneo all’Atlantico – nel ‘500 ristagnò e nel ‘600 decadde; alla fine del ‘600, la popolazione non era maggiore che nel ‘400.
Molte terre – nella Lombardia, nel Veneto, in Toscana – passarono in proprietà degli arricchiti dei traffici: non ne nacque una vera e propria borghesia agricola, per la loro tendenza ad una vita piuttosto di reddituari, ma vi fu maggiore afflusso di capitale alla campagna. Opere di miglioramento fondiario, per iniziativa di grandi e piccoli proprietari, si estesero: soprattutto vasti dissodamenti di terre collinari e nuove piantagioni, con diffusione, in particolare, di gelsi-bachicoltura: è in questi secoli che assume grande sviluppo l’industria della seta.
Nella bassa Valle Padana e nel Veneto, questo è un periodo di grandi iniziative, seguite a quelle dei Comuni, così per difesa e bonifica idraulica delle terre come per navigazione interna (allora più importante di oggi per la deficiente rete stradale): ad esse largamente parteciparono a nord del Po la Repubblica Veneta, e a sud gli Estensi ed il governo pontificio ad essi succeduto.
Possiamo ricordare che estremamente minaccioso era il regime idraulico, per il continuo spostarsi e innalzarsi dei letti dei fiumi alpini ed appenninici, attraverso un territorio ancora in gran parte paludoso e, per così dire, in via di formazione. Fu veramente un’opera titanica, volta a regolare l’assetto idraulico del territorio e conquistarlo alla coltura, quella effettuata dalla Repubblica Veneta.
La lotta si svolse su due fronti:
- da una parte, contro l’interramento della laguna dovuto allo sbocco di vari fiumi, per l’efficienza del porto;
- dall’altra, per la conquista delle terre emergenti dalle paludi, colmate dalle torbide fluviali; conquista da difendere quotidianamente contro gli alvei che divagavano nelle loro alluvioni, che rialzavano il loro letto, e quindi, minacciavano gli argini costruiti a difesa e respingevano affluenti che altrimenti potevano trovarvi recapito; tutto ciò alla ricerca di terre per coltivare il grano che non riusciva più ad arrivare via mare o che costava moltissimo proveniente dall’Europa via terra.
Strumento di questa politica idraulica fu, fra il XVI ed il XVIII secolo, il Magistrato alle Acque, costituito da un Collegio Consultivo – in cui erano chiamati anche i maggiori idraulici delle altre parti d’Italia – e dai Savi sopra le acque, con funzioni esecutive, mentre al Senato erano sempre riservate le maggiori deliberazioni.
Il Magistrato godeva di una larga autonomia, anche finanziaria, essendogli assegnato il gettito di determinate imposte, mentre a necessità straordinarie provvedeva coi cosiddetti “campatici”, contributi sui terreni bonificati.
Le opere idrauliche mirarono essenzialmente alla difesa della laguna, distogliendone le acque torbide, con diversione dei fiumi al mare (Brenta, Bacchiglione, Sile, ecc.) o con loro rettificazioni, per diminuire gli interramenti (Po, Adige, Piave, ecc.).
Non meno notevole fu l’azione del Provveditorato sui beni inculti, il quale aveva il compito di disporre per la bonifica delle terre incolte e per l’utilizzazione delle acque.
“Quando un’opera era ritenuta dai Provveditori necessaria, e la proposta veniva approvata dal Senato, essi dovevano sorvegliare sull’effettiva sua attuazione. L’esecuzione delle opere poteva avvenire in due modi: o veniva assunta direttamente dallo Stato, oppure poteva venire affidata ai privati proprietari, riuniti volontariamente od obbligatoriamente in Consorzi. Nei due casi i Provveditori avevano compiti diversi: ma sempre essi dovevano sorvegliare perché l’opera fosse portata a termine. Nel primo caso ai Provveditori spettava la sorveglianza generale amministrativa e tecnica dell’opera: essi dovevano nominare i periti tecnici e gli ingegneri; esaminare i disegni ed i progetti; compiere opportuni sopralluoghi; preventivare la spesa e procurare i fondi necessari; disporre sul modo di espropriazione dei beni dei privati o sulla partecipazione all’opera compiuta, e decidere in ogni altra questione che si fosse presentata. Dovevano cioè essere, …, i dirigenti delle opere da compiere, e perciò essi potevano dettare disposizioni, contrarre prestiti, imporre pene… ai contravventori di loro ordini ed a quelli che si rendessero in qualsiasi modo colpevoli riguardo al retratto da compiere. Nel caso invece di opere compiute dai Consorzi, spettava ai Provveditori la sorveglianza sull’opera da questi Enti compiuta … per garantire così, anche in questo caso, allo Stato l’attuazione delle opere.”
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