Prerequisito fondamentale per la fertilità delle campagne è la presenza nel terreno della sostanza organica, espressione utilizzata in ambito agronomico per indicare l’insieme dei composti organici di origine sia animale che vegetale. La sua costante diminuzione – dovuta a una pluralità di cause (diminuzione di piogge e aumento delle temperature, salinizzazione, sfruttamento eccessivo del suolo) – sta mettendo in grande difficoltà il mondo dell’agricoltura alle prese con una progressiva desertificazione dei territori.
Il problema, che riguarda tutto il Paese e per il quale in Veneto non fa eccezione, vede in prima linea tra i soggetti che stanno cercando di porvi rimedio, alcuni consorzi di Bonifica, spesso affiancati dal mondo accademico.
In questo contesto si inserisce la sperimentazione che il Consorzio Veneto Orientale (sede a San Donà di Piave) ha avviato, con l’Università di Padova, grazie al finanziamento del progetto SOILBANK nell’ambito di Unimpresa 2019.
In questi giorni, nel podere Fiorentina a San Donà di Piave, il Consorzio (che è proprietario del podere e lo utilizza per sperimentazioni agronomiche) è infatti impegnato nella semina di “cover crops” – particolari colture “di copertura” seminate nei periodi in cui il terreno agricolo non sta ospitando colture da reddito – per testare gli effetti, nei mesi a venire, sulla capacità di ritenzione idrica del terreno, a seminativo in irriguo e in asciutto.
Agricoltura, ma non solo.
La capacità del suolo di assorbire risorsa idrica ha inoltre una valenza nella prevenzione del rischio idraulico: il principio è facilmente comprensibile, maggiore è la capacità del suolo di trattenere l’acqua piovana, minore è il rischio che quest’acqua allaghi strade e centri abitati.
In quest’ottica, guardando al di fuori dei confini regionali, è significativa l’iniziativa in corso sull’Appennino emiliano ad opera dei Consorzi di bonifica della Burana e dell’Emilia Centrale. Life AgriCOlture (il nome del progetto) coinvolge 15 aziende agricole tra le province di Parma, Reggio Emilia e Modena. L’obiettivo in questo caso è verificare come – attraverso buone pratiche di regimazioni idrauliche, miglioramento della foraggicoltura e gestione della sostanza organica nel settore zootecnico – sia possibile stoccare anidride carbonica nel terreno con costi di contenuti, garantendo una più efficace azione di difesa del suolo.
“E’ una sfida importante, che coinvolge anche Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano e Centro Ricerche Produzioni Animali, nell’ambito della transizione ecologica europea, di cui devono essere protagoniste le aziende agricole unitamente a cittadini, istituzioni, mondo produttivo. Da tempo – spiega Francesco Vincenzi, presidente nazionale di ANBI – siamo impegnati nella ricerca di soluzioni per arricchire i terreni con sostanza organica, utile anche a trattenere le acque di pioggia; suoli impoveriti e crescente desertificazione sono fenomeni conclamati in alcune zone del Paese, contribuendo all’abbandono dei terreni agricoli.”
“I progetti avviati in Veneto ed Emilia-Romagna– conclude Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – testimoniano il concreto impegno dei Consorzi di bonifica ed irrigazione, attraverso la ricerca, nella sfida ai cambiamenti climatici, cruciali per il futuro del Pianeta.”